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La maschera e il volto. Usi e abusi della medicina estetica


Chirurgia estetica sì. Chirurgia estetica no. A cadenze regolari i social network sono invasi dal dilemma, di solito partendo dal confronto del “prima” e del “dopo chirurgia” di celebri volti e corpi dello spettacolo: a volte non tutto va bene e si registrano risultati disastrosi o pesanti effetti collaterali; a volte un volto esce dalle mani del chirurgo plastico molto rinnovato, così rinnovato che si stenta a riconoscere persino volti arcinoti, stirati e rimpolpati oltre misura. Donne, ma anche tanti uomini, persone mature, ma anche tanti giovani chiedono alla chirurgia plastica di correggere un profilo, di dare più personalità a un volto, di sottolineare questa o quella parte del corpo perché ritenuta inadeguata rispetto ai modelli correnti e, soprattutto, ai propri desideri. È intuitivo porre una ideale linea di confine fra gli interventi richiesti da malformazioni o incidenti che hanno alterato l’aspetto o la funzionalità di una parte del corpo, per esempio il naso o l’occhio o la bocca, e gli interventi che lavorano su un terreno di normalità e che, quindi non hanno una funzione strettamente terapeutica. Chi, infatti, può avere dubbi sulla bontà di un intervento che corregga una bocca così alterata nella sua anatomia da rendere difficile la masticazione o l’articolazione della parola? Ma, a ben guardare, il confine fra interventi ragionevoli e giustificabili e interventi discutibili è molto più sottile e delicato e la stessa distinzione fra terapia e non terapia può risultare meno chiara nei casi concreti.

A questo confine spesso sfuggente è dedicato il piccolo volume di padre Maurizio Faggioni, francescano e ordinario presso l’Accademia Alfonsiana. La persona vive il corpo come un’esperienza profondamente unitaria, in un continuo rimando di interiorità ed esteriorità ed il volto, in modo del tutto singolare, è rivelazione della realtà profonda della persona. Il mio volto svela all’altro chi sono. Non sempre, per tante e diverse ragioni, il nostro volto riesce ad esprimere quello che siamo e ci sentiamo di essere: un naso troppo pronunciato, due orecchie ad ansa, una rete di rughe anzi tempo non sono certo patologiche e possono, anzi, essere accolte come peculiarità personali, ma possono talora creare disagi, ostacoli alla vita sociale, ansia. Il confine del giusto e dell’ingiusto potrebbe essere posto, allora, altrove risolvendo la dualità ambigua del termine “persona”: persona è il soggetto umano singolare, ma il termine persona in origine indicava la maschera che copriva il volto degli attori nel teatro greco e romano e conferiva loro l’aspetto più appropriato per impersonare, appunto, il loro ruolo. In questa prospettiva antropologica, si traccia un confine fra una medicina e una chirurgia che aiutano un volto e un corpo ad esprimere con pienezza la verità della persona e una medicina e una chirurgia che, noncuranti dell’interiorità, delle storie, della vita, sanno solo creare e ripetere all’infinito maschere senz’anima e falsi sé.

(ed. Reazione)


Maurizio FAGGIONI,
La maschera e il volto. Usi e abusi della medicina estetica,
Dehoniane, Bologna 2017, pp. 96


Maurizio P. FAGGIONI è ordinario di Bioetica all’Accademia Alfonsiana di Roma e professore invitato alla Pontificia Università Antonianum e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Membro del comitato scientifico della rivista Medicina e Morale, per EDB ha pubblicato La vita nelle nostre mani. Manuale di bioetica teologica (Quarta edizione 22017) e Sessualità, matrimonio e famiglia (nuova edizione 2017).


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